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Test sierologico prima del vaccino Covid? “In futuro sarà utile”. Ecco perché

Prima, seconda e terza dose del vaccino Covid: ma è possibile farlo se si è positivi?  E cosa rischia chi prende il virus e, non sapendo di essere positivo (asintomatico), va a vaccinarsi? E’ meglio fare un tampone o un test sierologico? Sono numerose le persone che si stanno chiedendo se possa essere utile conoscere il numero di anticorpi sviluppati a seguito del ciclo vaccinale e/o di infezione e, quindi, valutare se procedere con la somministrazione del vaccino.

Terza dose vaccino: serve un tampone o un test sierologico? E se sono positivo?

 

 

Anche se il Ministero della Salute ha dichiarato che “l’esecuzione dei test sierologici non è raccomandata ai fini del processo decisionale vaccinale”, sono in arrivo nuovi test, in farmacia ma anche fai-da-te, per misurare il livello degli anticorpi dopo

essersi ammalati di Covid, oppure dopo aver fatto il vaccino in attesa di una nuova dose. O ancora, come purtroppo accade sempre più spesso a causa della velocità con cui si trasmette la variante Omicron, se si viene contagiati dal virus SarsCoV2 subito prima del vaccino, mentre si è in attesa della seconda dose o della terza. “In futuro potrebbe diventare sempre più importante individuare il momento esatto nel quale è ora di fare il richiamo e potrebbe diventare anche un modo per contingentare i vaccini”, ha osservato il virologo Francesco Broccolo, dell’Università di Milano Bicocca e direttore scientifico del Gruppo Cerba Italia.

 

Oltre ai test sierologici che è possibile fare negli ospedali e nei laboratori specializzati, sono appena arrivati nuovi test, più facili ed economici. I test classici per la misura degli anticorpi neutralizzanti sono affidabili e, sebbene il livello possa variare da individuo a individuo, esiste una soglia oltre la quale si è protetti e che è indicata in 500 BAU per millilitro, secondo l’unità di misura Binding Antibody Unity fissata come standard dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms). Test di questo tipo si fanno nei laboratori di analisi, gli stessi ai quali ci si rivolge per i test molecolari, prevedono il consueto prelievo di sangue e costano in media 35 euro.

 

Esistono poi altri test semi-quantitativi, anche questi basati su un’analisi del sangue prelevato con il pungidito, che cercano gli anticorpi neutralizzanti e danno una risposta attraverso una banda colorata, la cui intensità è proporzionale al livello di titolo anticorpale, da 300 BAU che corrisponde a un basso livello di protezione, fino a 1.000 BAU. Il costo è circa la metà rispetto a quello dei test che si fanno in laboratorio.

 

C’è anche un terzo tipo di test per l’immunità cellulare che prevede il dosaggio dell’interferone in seguito alla stimolazione delle cellule immunitarie chiamate linfociti T memoria: il sangue ottenuto con prelievo ematico, viene introdotta in una provetta nella quale è già presente un pull di antigeni del virus SarsCoV2 che andranno immediatamente a stimolare i linfociti T memoria. “Questo test è stato approvato all’inizio di dicembre 2021, ma non è ancora ben standardizzato, nel senso che non è stato stabilito il suo correlato immunologico di protezione ossia il suo valore-soglia protettivo”, ha rilevato Broccolo.

Secondo l’esperto sono tutti test che in futuro potranno essere “utili per individuare il momento opportuno per fare la dose booster, pensando per esempio all’eventualità di una quarta dose: aiuterebbero a ottimizzare le difese e a contingentare le dosi”

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